sabato 2 febbraio 2019

Follia - I “Monomanes” di Géricault

Solo tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento la follia comincia ad essere riconosciuta come malattia mentale (non più come possessione o influsso esercitato da forze malefiche) e nasce la psichiatria come scienza medica, autonoma dalla morale e dalla religione.
Si comincia ad avvertire l'esigenza di circoscrivere la follia come patologia ben specifica, distinta dalle altre forme di emarginazione, e di seguirne il decorso in modo da conoscerne manifestazioni ed esiti. Per questo i primi psichiatri «liberano» gli alienati dalle catene e dal sistema coercitivo, come premessa ad un diverso intervento, che fosse di analisi e di cura. Il primo psichiatra ad adottare queste misure è Philippe Pinel, di cui sarà allievo il dottor Esquirol. Egli è il primo che cerca di classificare sistematicamente i problemi mentali, tentando un approccio che comprende nosologia e intervento terapeutico.


Théodore Géricault, Alienata con monomania dell’invidia (La iena della Salpetrière), 1822-23, Musée des beaux arts de Lyon.

Nasce così la clinica psichiatrica e prendono forma i primi Trattati. Questa rudimentale psichiatria si serve di una disciplina come la fisiognomica, che cerca di dedurre le caratteristiche psichiche (e la qualità morale) di una persona dai suoi caratteri somatici, in particolar modo quelli della testa e del viso. L'assunto di base è dunque quello per cui i caratteri della malattia possono essere letti sui volti dei pazienti. In relazione a ciò, le rappresentazioni artistiche di questo periodo sono stimolate dalla nascita di tali studi, in alcuni casi vengono addirittura richieste dagli stessi medici, che necessitano di avere maggior materiale a disposizione, per la comprensione e la descrizione di episodi di disagio psichico. Il dottor Esquirol dichiarerà che, nel 1818, aveva fatto disegnare i ritratti di più di 200 alienati per pubblicare le sue osservazioni in merito.

Sono di questo periodo i primi dipinti che rappresentano il folle senza alcun intento metaforico, spogliato da ogni tipo di simbologia, con l’intento di ottenere immagini oggettive, quasi scientifiche, tese a documentare la condizione di una parte della società che si vuole studiare e sottoporre alle prime rudimentali terapie.

Alienato con la monomania del comando militare

Nel nuovo lessico sanitario, c'è un termine in particolare che acquista grande risonanza e viene impiegato dagli scrittori (il suo uso è frequente nella Comédie humaine di Balzac) e presso gli artisti. Si tratta del termine “monomania” (cioè il disturbo mentale caratterizzato dall’ossessiva presenza di un’idea fissa), non particolarmente accurato dal punto di vista medico, ma suscettibile di sviluppi in campo artistico.
Un luogo comune assimila genio romantico e follia e Géricault fu uno dei massimi pittori del romanticismo francese. Secondo una storia che negli anni ha preso la forma di leggenda, Géricault, dopo il 1822, cominciò a soffrire di una forma depressiva (probabilmente scatenata da vari fattori, tra cui l'incomprensione di cui godeva la propria produzione artistica e l'esser rimasto vittima di una truffa che gli aveva causato enormi perdite finanziarie), che lo portò a rivolgersi al giovane alienista dottor Etienne-Jean Georget, allievo del dottor Esquirol alla Salpêtrière, il più noto dei manicomi parigini. Georget, oltre ad inserire a corredo del suo trattato “De la folie” (1820) dei disegni realizzati dagli stessi pazienti, permise (o chiese egli stesso) a Géricault di realizzare i ritratti di dieci tra i suoi assistiti, forse per utilizzarli come “materiale illustrativo o didattico” (tuttavia non disponiamo di alcun documento che provi l'amicizia tra il pittore ed il medico). Nascono così, tra il 1822 e il 1823, i dieci “Monomanes”, ritratti di alienati monomaniacali, che vennero divisi fra il dott. Georget (presso cui ne rimasero cinque, quelli che ci sono pervenuti) e i suoi colleghi (queste altre cinque opere, invece, risultano oggi disperse).

Alienata con la monomania del gioco

Le monomanie che ci restano documentate sono l'invidia, la mania del gioco, la cleptomania, il rapimento dei bambini e la mania del comando militare. Gli alienati sono ritratti a mezzobusto, per focalizzare tutta l’attenzione sui volti; le espressioni sono colte con un'acutezza e una precisione eccezionali, tanto da rendere possibile la diagnosi.
I ritratti di Géricault sono caratterizzati da un realismo giudicato più rispondente a una finalità clinica che artistica. Per quanto riguarda la donna affetta dalla monomania dell'invidia, Géricault insiste, in modo particolare, su alcuni elementi, quali il colorito terreo del volto, la cuffia scomposta, lo sguardo obliquo e scrutatore, le rughe della fronte, gli occhi arrossati, lo sguardo perso nel vuoto a rincorrere il pensiero fisso che l’ha estraniata dalla vita reale. Sembra quasi ricalcare alla lettera la descrizione della patologia ricavabile nel testo dello stesso Georget: “La circolazione sanguigna diventa più attiva; la pressione arteriosa sale; le arterie della testa battono fortemente; gli occhi brillano e sono iniettati di sangue”. La pittura, rompendo con i canoni tradizionali del ritratto, ha trasformato un quadro clinico in un soggetto di rappresentazione artistica.

Alienato con la monomania del furto

Géricault, già in passato, aveva dimostrato questa attitudine allo studio “clinico” del corpo umano. Per realizzare il suo capolavoro, La zattera di Medusa, pare che l’artista si recasse spesso all’ospedale Beaujon, vicino al suo studio, per osservare dal vero l’agonia dei pazienti, i volti dei cadaveri o le membra di corpi mutilati. Addirittura sembra che riuscì a procurarsi, con l’aiuto di alcuni medici di Bicêtre, la testa mozzata di un ladro condannato a morte, tenendola nel suo studio per due settimane in modo da ritrarre al meglio la progressiva decomposizione dei tessuti. In ogni caso, egli nutriva grande interesse per lo studio dei comportamenti umani devianti, generati da situazioni estreme, come appunto era stato quello del naufragio della Medusa.
I ritratti dei “Monomanes” si inseriscono all'incrocio tra la storia dell'arte e quella dell'istituzione psichiatrica, tra le teorie sul ritratto moderno e la nosologia medica, tra la storia dello sguardo e quella dell'oggettivazione scientifica. Il loro significato, pertanto, si colloca su una soglia ambigua, che ci rende difficile coglierlo nella sua interezza. La narrazione costruita su questi dipinti ci impedisce di rispondere chiaramente alla domanda: sono dei ritratti o degli studi fisiognomici? Quanto il pittore è stato capace di personalizzare le figure, restituendocele nella loro individualità, e quanto invece la ricerca è stata orientata verso un modello teorico di diagnosi clinica?

Alienato con la monomania del rapimento di bambini

Gli artisti romantici, attratti dall'irregolare e dal non conforme, analizzando tutte le possibili e varie manifestazioni dell’animo umano, fanno rientrare nell’ambito della loro indagine anche quelle derivanti dai disturbi mentali e dai mali dello spirito. E il concetto di monomania ben si adatta alla nuova sensibilità romantica, che accoglieva il concetto che le varie forme di follia potessero originare dalle forti passioni umane. Questi disturbi sono evidenziati dalla mimica facciale, dalla contrazione dei muscoli del volto, dal colorito della pelle e dall'aspetto delle pupille, da tutti quegli elementi che denotano concentrazione ossessiva su un'idea fissa.
La pittura, attraverso una descrizione realistica e oggettiva, assume quindi il valore di un documento, acquistando un nuovo significato. Se il ritratto psicologico aveva, fin da Leonardo, cercato di esprimere l'interiorità dell'anima dell'individuo, questi di Géricault acquistano le sembianze di veri e propri ritratti “fisiologici”, che cercano di esteriorizzare non un'anima deviata, ma una natura malata, una patologia del corpo e della mente. L'individuo celebrato dall'umanesimo e suprema sintesi unitaria di anima e corpo è scomparso, ridotto ai suoi aspetti fisiologici, scomposto in varie parti e oggettivato da uno sguardo nuovo, quello clinico.
L’interesse per la rappresentazione della follia coinvolgerà molti artisti attivi tra la seconda metà dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Il realismo pittorico e letterario, le opere di Balzac, Flaubert e Zola, favoriscono l’attenzione verso una società sempre più sfaccettata, rappresentata senza più nessun intento idealistico ma con la sola intenzione di documentare la realtà, che è spesso la realtà dei poveri, dei miserabili, o di una follia che si colloca ormai su un confine molto ambiguo tra normalità e malattia.

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