venerdì 8 dicembre 2017

Il fotografo nel museo. Luigi Ghirri

Luigi Ghirri, Firenze, 1986.

Quando si pensa a Luigi Ghirri solitamente si pensa alla fotografia di paesaggio. A partire dagli anni Ottanta, tuttavia, molte opere fotografiche di Ghirri sono ambientate nei musei, luoghi dove l’immagine è già presente nel contesto. Questo accade anche in altri lavori ghirriani, come “Paesaggi di cartone” o “Kodachrome”, in cui fotografa immagini pubblicitarie, manifesti o intonaci decorati e, nel far ciò, l'intento dell'artista è sempre quello di attuare uno scardinamento della percezione, di analizzare lo scarto tra vero e falso, di recuperare la visione della realtà nascosta dalle sue rappresentazioni, perché la fotografia è prima di tutto uno strumento di pensiero e di comprensione.
Ne “Il Palazzo dell’Arte”, che comprende 102 immagini di vari musei italiani (gli Uffizi di Firenze, il Museo d’arte antica al Castello sforzesco di Milano, le Gallerie di Palazzo Rosso a Genova) e internazionali (il Metropolitan Museum of Art e il Solomon Guggenheim a New York, il Centre Pompidou a Parigi), Ghirri riprende spesso anche i visitatori in contemplazione delle opere d'arte esposte. Alcune volte sono inquadrati di spalle, mentre sono intenti ad osservare un quadro, altre volte appaiono invece presenze sfuggenti, figure sfocate senza tempo.


Luigi Ghirri – Firenze, 1986.

La differenza con le fotografie di musei realizzate da Elliott Erwitt, Martine Frank, Henri Cartier-Bresson ecc., di cui abbiamo parlato nei post precedenti, è lampante: Ghirri non racconta un episodio, non persegue l'istante decisivo, ma cerca la durata, la relazione. La foto di Ghirri non racconta, non descrive, ma reinventa un sistema di significati, utilizzando la fotografia come strumento per riflettere prima di tutto sull'immagine stessa.

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